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Contratto di associazione in partecipazione e di lavoro subordinato

(Cass. sez. lav. 6 novembre 1998, n. 11222)

Pres. Buccarelli, Rel. Lamorgese, P.M. Dettori, Ric. Lelli, Res. Torti

Lavoro - Contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa dell'associato e contratto di lavoro subordinato con partecipazione agli utili - Distinzione - Criteri.

In tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell'impresa, la riconducibilità del rapporto all'uno o all'altro degli schemi predetti esige un'indagine del giudice del merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che è determinante accertare se il corrispettivo dell'attività lavorativa escluda o meno un apprezzabile rischio, se colui che la esplica sia, o meno, assoggettato al potere disciplinare e gerarchico della persona o dell'organo che assume le scelte di fondo nell'organizzazione dell'azienda. Inoltre mentre il primo rapporto implica l'obbligo del rendiconto periodico dell'associante, che ha un potere di controllo sulla gestione economica dell'impresa, il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione, più ampio del generico potere dell'associante d'impartire direttive ed istruzioni al cointeressato.

Nota

Con tale decisione la Suprema Corte, condividendo le impostazioni dei giudici di merito, ha respinto il ricorso proposto da un’associata in un contratto di associazione in partecipazione, la quale chiedeva che venisse dichiarata la simulazione di tale contratto e fosse, invece, riconosciuta la natura subordinata del suo rapporto con l’asserita associante.

Relativamente alla differenza fra il contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa dell’associato e il contratto di lavoro subordinato, i giudici di legittimità condividono la prevalente giurisprudenza (v. ad es. Cass. 22 luglio 1992, n. 8836), secondo cui la distinzione si fonda per lo più sull’accertamento di tre elementi. In primo luogo, ad avviso dei giudici di legittimità, è determinante accertare se il corrispettivo dell’attività lavorativa escluda o meno un apprezzabile rischio.

A tal proposito la Corte ha ritenuto che il contratto di associazione in partecipazione sia un contratto aleatorio. Perciò ha individuato quale elemento caratterizzante la posizione dell’associato, rispetto a quella del lavoratore subordinato, l’assoggettamento al rischio economico d’impresa, che grava anche sul primo oltre che sull'associante, esponendolo sia alla mancata percezione di utili sia alla perdita dell’apporto lavorativo. Al contrario il lavoratore subordinato non è sottoposto ad alcun rischio d’impresa.

In secondo luogo, sempre secondo la sentenza in oggetto, occorre verificare se colui che esplichi tale attività lavorativa sia assoggettato o meno al potere disciplinare e gerarchico della persona o dell’organo che assume le scelte di fondo nell’organizzazione delle persone e dei beni. Infatti il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell’associante d’impartire direttive ed istruzioni all’associato (nello stesso senso Cass. 17 settembre 1991, n. 9671).

Tale vincolo di subordinazione è inteso dalla Corte, conformemente alla giurisprudenza maggioritaria, quale soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che si concreta nell’emanazione da parte di quest’ultimo di ordini specifici, oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative e la cui esistenza va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione (cfr. fra le tante Cass. 16 gennaio 1996, n. 326).

Nella fattispecie la Suprema Corte ha escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tenendo conto sia del carattere aleatorio del compenso (corrisposto mensilmente all'associato nella misura del 10-15 % degli incassi) sia della posizione paritetica dello stesso associato nei confronti dell’associante.

In relazione a tale ultimo aspetto, la Corte di legittimità ha escluso che i compiti svolti da quest’ultimo (consistenti nell’intrattenere i rapporti con i fornitori, nell’effettuare gli acquisti e nello stabilire i prezzi di vendita) dimostrassero l’esistenza del tipico assoggettamento del prestatore di lavoro alle direttive del datore e al suo potere disciplinare. Infine, quale ultimo indice dell’esistenza di un rapporto di associazione in partecipazione, la Corte di legittimità ha affermato che è necessario stabilire se il prestatore abbia un potere di controllo sulla gestione economica dell’impresa, in particolare se egli abbia diritto di ricevere o meno un rendiconto periodico della gestione da parte dell’associante. Nel caso di specie, durante l’istruttoria svolta nel precedente giudizio di merito, era emerso indubitabilmente che l’associante non si era mai rifiutata di rendere tale rendiconto, a fronte del completo disinteresse da parte dell’associata circa tale suo diritto. Elemento questo che - unitamente agi altri- ha indotto la Corte a non ritenere sussistente un rapporto di lavoro subordinato, bensì un contratto di associazione in partecipazione.